La Voce

Indice del La Voce n. 5

Un programma minimo?

 

Ho letto e meditato le argomentazioni del compagno Nicola P. (La Voce n. 2, pag. 42) contro le richieste di includere nel Manifesto Programma del futuro partito comunista un programma minimo. Ho riflettuto sulle richieste avanzate da vari compagni nel corso di riunioni sul Progetto. Ho studiato anche i materiali riuniti nellÂ’opuscolo I programmi nel movimento comunista.(1) Condivido le argomentazioni di Nicola e le sue conclusioni. Il fatto che in un anno nessuno ha avanzato proposte di programma minimo, come Nicola P. aveva invitato a fare, conferma che le sue argomentazioni hanno convinto molti compagni. Tuttavia ritengo che occorra fare un passo avanti e che le richieste dei compagni di includere un programma minimo rispecchino unÂ’esigenza reale che il Progetto non soddisfa.

Anzitutto però ancora due parole su cosa intendiamo per programma minimo. Nella storia del movimento comunista per programma minimo si è sempre inteso il programma relativo a una società intermedia tra quella di partenza e la società socialista.

Basta leggere i programmi pubblicati nell’opuscolo citato. Basta leggere quello che dice Lenin in proposito: “Il nostro partito ha un programma minimo, cioè un programma completo delle trasformazioni che possono essere realizzate subito, nell’ambito della rivoluzione democratica (cioè borghese) e che sono indispensabili al proletariato nella sua ulteriore lotta per la rivoluzione socialista” (Opere vol. 8 pag. 524). Questa definizione è da Lenin ripetutamente confermata,(2) fino a quando, dopo la conquista del potere, al VII congresso nel marzo 1918, disse che a quel punto effettivamente si poteva oramai abolire la divisione del programma in programma minimo e programma massimo (Opere vol. 27 pag. 118).

Crea quindi confusione usare l’espressione programma minimo in un altro senso. Dobbiamo perciò evitare di farlo. Solo chi ritiene che in Italia sia necessario un passaggio intermedio tra la società attuale e il socialismo, ha ragione di avanzare un programma minimo.

Un programma minimo inteso in questo senso è da escludere. Infatti l’unica rivoluzione possibile in Italia è la rivoluzione socialista. Già il programma del vecchio PCI (allora si chiamava ancora Partito Comunista d’Italia, sezione della Internazionale Comunista), le Tesi di Lione (1924), indicava chiaramente che l’unica rivoluzione possibile in Italia era la rivoluzione socialista. Solo all’inizio degli anni ‘30 incominciò ad essere avanzata nel partito la linea della Costituente. Secondo questa linea la lotta contro il fascismo non doveva portare all’instaurazione del socialismo, ma a una fase intermedia di passaggio. Questa divenne la linea ufficiale del PCI con la “svolta di Salerno” del marzo del 1944. I risultati che ne sono derivati hanno confermato le Tesi di Lione: in Italia non è possibile altra rivoluzione che non sia la rivoluzione socialista. Ogni altro obiettivo non è che rassegnazione alla dominazione dell'oligarchia finanziaria, al capitalismo nella sua fase imperialista: cioè la conferma dell’attuale società.

Non è possibile una fase intermedia tra lÂ’attuale societĂ , diretta dalla borghesia imperialista e la societĂ  socialista diretta dalla classe operaia. Noi lottiamo per il comunismo, una societĂ  senza classi, fondata su una economia collettiva e in cui tutti i rapporti sociali sono conformi alla economia collettiva. Ma noi non siamo utopisti. Sappiamo che la divisione della societĂ  in classi può e deve scomparire, ma sappiamo anche che non scomparirĂ  di colpo. LÂ’esperienza dei primi paesi socialisti lo ha confermato. La prima fase del comunismo è il socialismo, una societĂ  in cui sopravvive la divisione di classe ma in cui la classe operaia dirige tutte le varie classi delle masse popolari a trasformare gradualmente i rapporti di produzione e il complesso dei rapporti sociali, da quelli attuali a quelli della societĂ  comunista. Il programma del partito comunista è la societĂ  senza divisione in classi. Il nostro programma deve indicare a grandi linee in quale direzione intendiamo trasformare gli aspetti piĂą importanti della nostra societĂ  durante la fase socialista, per quello che ne possiamo capire noi oggi. Esso deve contenere in positivo la critica comunista delle contraddizioni oggi giĂ  in atto tra il carattere giĂ  collettivo delle forze produttive e dellÂ’attivitĂ  economica della societĂ  da una parte e  dallÂ’altra la sopravvivenza dei rapporti di produzione capitalisti e degli altri rapporti sociali ad essi connessi. A me pare che il programma illustrato (cap. IV) dal PMP proposto dalla SN dei CARC adempia grosso modo a questo obiettivo. Esso del resto segue, a grandi linee, il programma massimo che si erano dati i partiti comunisti che ci hanno preceduto e che si danno i partiti comunisti di altri paesi nostri contemporanei. Solo lo “italianizza”, in concreto esemplifica gli obiettivi con misure con le quali nel movimento comunista italiano c’è giĂ  una certa familiaritĂ .

Nicola P. ha risposto esaurientemente a quanti in realtà per programma minimo intendono un insieme di rivendicazioni. In particolare ha risposto alle osservazioni avanzate da FG (in Tribuna libera di Rapporti Sociali n. 23/24 pag. 47). FG con le sue poche parole conferma che chi nell’attuale dibattito fa la richiesta del programma minimo intende “obiettivi la cui realizzazione non presuppone la conquista del potere da parte della classe operaia, che la classe operaia può strappare alla borghesia nell’ambito della società borghese con lotte e pressioni adeguate”. FG dice “le linee di forza di un piano d’azione che, fondandosi sui bisogni immediati del proletariato e delle masse popolari, sia volto a favorire il processo di ricostruzione del partito comunista e, parallelamente, la necessaria ricomposizione e ripresa del movimento di classe”. Cioè appunto un insieme di rivendicazioni patrocinate dal partito e, da subito, dalle FSRS che lavorano alla ricostruzione del partito.

Confermato quindi che inserire un programma minimo sarebbe sbagliato e cambierebbe la natura del partito che vogliamo costruire, qual è allora l’esigenza che il Progetto non soddisfa e che credo si rifletta almeno in parte nella richiesta di includere un “programma minimo” (anche se l’espressione è usata in modo sbagliato)? Consideriamo il programma indicato nel cap. IV del nostro Progetto. In esso sono mescolati obiettivi e misure di due tipi diversi che ritengo sarebbe invece utile tenere diviso.

• Obiettivi e misure che possono e devono essere realizzati subito, al momento della conquista del potere e che segnano l’inizio del socialismo; misure senza le quali non esisterebbe inizio della fase socialista e proclamarlo sarebbe un imbroglio; misure che sono rivolte a distruggere i pilastri del presente e a porre le basi su cui iniziare la nuova fase. Quindi in particolare misure sulle quali è possibile coalizzare un fronte di classi più ampio di quello che si batterà coerentemente per la transizione nella fase socialista. Per capirci meglio, pensate all’insurrezione del 25 aprile 1945. Cosa fare a quel punto? Attuare subito una serie di misure che segnano una rottura netta col passato e l’inizio del socialismo, un insieme di misure senza le quali ogni “repubblica fondata sul lavoro” risulta palesemente un imbroglio, una frase demagogica per nascondere una realtà che non si osa dire.(3)

• Obiettivi che per la loro stessa natura verranno realizzati gradualmente, nel corso della transizione dal capitalismo al comunismo. Linee direttrici secondo le quali si svilupperĂ  lÂ’azione della classe operaia e del suo partito per arrivare al comunismo. Ă