La Voce n. 13


Comitati di Partito e centralismo democratico

 

Cresce il numero dei compagni che aderiscono al “piano in due punti” per costituire il partito comunista. Il primo passo che compiono i membri di Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista e i lavoratori avanzati che condividono il “piano in due punti” è costituire un Comitato di Partito. La costituzione di un CdP è la rottura pratica con l'atteggiamento attendista e opportunista circa la ricostruzione del partito che consiste in sperare e auspicare che si ricostruisca il partito e non fare subito quello che personalmente un compagno può fare per la ricostruzione del partito.

Un comitato clandestino non si costituisce con chiacchieroni, né con personaggi dalle aspirazioni vaghe e dal carattere incostante, né con persone che si conoscono superficialmente, solo o principalmente per le dichiarazioni che fanno quando per caso ci si trova in un'assemblea o in una manifestazione. Un Comitato di Partito non è un'aggregazione di individui di buoni sentimenti che vogliono prendere qualche iniziativa politica o rivendicativa e si associano nella misura necessaria per farlo. Un Comitato di Partito è creato da compagni che, quali che siano i loro limiti e difetti attuali, vogliono e si impegnano per la vita a diventare comunisti. Il carattere del compagno è più importante dell'ampiezza delle sue conoscenze, in particolare se si tratta di un operaio. La costituzione di un comitato implica e presuppone una conoscenza abbastanza profonda e di lunga data tra i compagni che lo costituiscono. Ovviamente se non esistono queste condizioni, un compagno non sta con le mani in mano sperando in Dio, ma le costruisce. Stabilisce con i compagni che gli sembrano adatti dei rapporti personali e dei rapporti di lavoro politico legale e di lavoro sindacale con lo scopo specifico di approfondire direttamente e indirettamente la conoscenza per verificare compagno per compagno se è adatto a costituire un Comitato di Partito. Il comitato si costituisce solo quando e solo con i compagni per i quali la verifica ha dato esito positivo e i compagni sono tutti in grado di assumere seriamente il loro impegno. Non occorre che il singolo compagno abbia grandi doti e grande esperienza. La forza del partito comunista non sta nella genialità dei suoi membri o dei suoi capi, ma nella coesione dei compagni che lo compongono e nella aderenza del loro orientamento agli interessi strategici della classe operaia. Non si devono fare pressioni morali su un compagno per farlo aderire e tantomeno accettare nel comitato uno che aderisce di malavoglia. Meglio un amico fidato e un simpatizzante della causa che collabora saltuariamente e per compiti limitati, che un membro del comitato che manca di convinzione e di slancio. Queste sono premesse perché un comitato possa svolgere il suo lavoro. Procedere diversamente vuol dire perdere tempo, creare confusione e prepararsi dei guai.

Una volta costituito un Comitato di Partito, il passo successivo è il lavoro che il comitato svolge. Si tratta di darsi un piano di lavoro orientato in modo giusto, ma anche proporzionato alle forze attuali del comitato. L'importante non è fare subito tante cose, ma rafforzarsi e crescere: come esperienze e capacità oltre che come numero. Dobbiamo aver fiducia che è in corso in tutto il paese in tanti punti un movimento capillare di trasformazione analogo a quello che ognuno di noi compie. Non siamo solo noi a lavorare per la nostra causa. Ognuno di noi è uno tra tanti e sempre più sarà così. Purtroppo non è possibile vederlo e vincere così, empiricamente, la sfiducia e la diffidenza che ereditiamo e che il nemico di classe alimenta. Ma se riflette, ognuno ha a sua disposizione buoni motivi per convincersi che è così. La mobilitazione delle masse cresce e ha un orientamento politico via via più unitario, con parole d'ordine più giuste. Non è una cosa che cade dal cielo. Certamente è frutto anche delle conclusioni a cui per la sua personale esperienza diretta e quotidiana arriva autonomamente il singolo lavoratore, la donna o il giovane schiacciato dall'ordinamento capitalista della società. Ma alla loro presa di posizione contribuisce anche l'opera capillare di orientamento e di organizzazione che svolgono i comunisti e i lavoratori avanzati che in un modo o nell'altro sono già oggi legati al lavoro di ricostruzione del partito comunista. Ciò non vuol dire che si è già creata una rete di comitati e un'organizzazione di base del partito nettamente definita e centralizzata. Vuol dire però che siamo su questa strada. Del resto, se ci pensiamo, ciò è nella logica delle cose ed è inevitabile. La situazione a cui ogni comunista si confronta è la stessa e la sua verità (la strada giusta da prendere per uscirne) è una sola. Una volta che essa è scoperta e viene propagandata, essa un po' alla volta inevitabilmente prevale sulle tante menzogne e mezze verità che creano la confusione e la nebbia. Tutti i compagni seri (quelli non seri meglio lasciarli perdere) che cercano realmente una strada, l'afferrano, la fanno propria e la usano. Parafrasando Troisi, possiamo dire che le idee “sono di chi le usa”. Su questa base si creano anche i legami che porteranno alla necessaria unità organizzativa. Così facendo, contemporaneamente le persone serie si distinguono dagli opportunisti che non cercano realmente una strada, ma dei se e dei ma per giustificarsi e non imboccarla. E distinguendosi isolano gli opportunisti. Tra un po' sarà come se questi personaggi che si aggirano nei movimenti avessero una divisa o la targa. Non è vero che nel nostro paese non esistono persone serie tra gli operai e gli altri lavoratori. Non dobbiamo attribuire agli operai e in generale ai lavoratori italiani l'opportunismo, la debolezza di carattere, la vigliaccheria e la superficialità che storicamente caratterizzano la borghesia dell'Italia unita e che in queste settimane hanno la loro espressione plateale e alla vista di tutti nell'attività e nel disorientamento del governo della banda Berlusconi. Certo il carattere della classe dominante influenza anche le masse popolari, perché essa domina anche moralmente e intellettualmente. Ma le influenza solo fino ad un cero punto, perché la loro esperienza pratica è ben distinta da quella della classe dominante. Ricordiamo sempre che mentre la borghesia italiana dall'unità d'Italia (1861) a oggi non è mai riuscita a mettere insieme consistenti forze armate di un certo valore ed è conosciuta in mezzo mondo come protagonista di un “imperialismo straccione” che si è sempre accodato in posizione subordinata al Vaticano e ora a questo ora a quel gruppo imperialista straniero (prima Napoleone III, poi il Reich tedesco, poi l'Intesa, poi Hitler, poi gli USA), gli operai italiani col partito comunista e l'Internazionale Comunista hanno fatto la Resistenza e pur senza partito hanno comunque fatto la lotta armata degli anni '70: due avvenimenti la cui fama ha fatto il giro del mondo.

In conclusione un CdP deve darsi un piano di attivitĂ  limitato, su misura delle sue forze, ma conforme alle possibilitĂ  di sviluppo del movimento comunista che le masse popolari, la classe operaia, i lavoratori avanzati, le FSRS della sua zona e i suoi membri presentano. Non deve partire solo e spontaneisticamente da quello che i compagni che lo compongono fanno giĂ , ma deve rimettere in discussione tutto alla luce del compito che il CdP si assume. Deve tener conto sia della gamma di attivitĂ  che generalmente un CdP svolge (non sto a ricordarle: rinvio all'articolo Il lavoro dei Comitati di Partito pubblicato nel n. 8 di La Voce - luglio 01), sia della sua situazione particolare. Dalla considerazione di questi due elementi ogni CdP deriva l'ordine di prioritĂ  delle attivitĂ  da svolgere e la distribuzione delle proprie forze tra di esse. Usare il tempo e dedicare gli sforzi necessari per seguire questi criteri non è perdere tempo. Ă