Torna all'indice del La Voce n° 10 - marzo 2002

LÂ’ottava discriminante

- Sulla questione del maoismo terza superiore tappa del

pensiero comunista, dopo il marxismo e il leninismo

- Sulla necessitĂ  che i nuovi partiti comunisti siano marxisti-leninisti-maoisti e non solo marxisti-leninisti

(seconda parte, segue da La Voce n. 9)

(prima parte, La Voce n.9)

indice della seconda parte

 

1. La guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata

Quale strada dobbiamo seguire noi comunisti dei paesi imperialisti per portare la classe operaia a instaurare la dittatura del proletariato, dare inizio alla fase socialista di trasformazione della societĂ  e contribuire alla seconda ondata della rivoluzione proletaria mondiale?

 

2. Le rivoluzioni di nuova democrazia

La strategia dei comunisti nei paesi coloniali e semicoloniali oppressi dall'imperialismo

 

3. La lotta di classe nella societĂ  socialista

Il contributo storico dei paesi socialisti costruiti durante la prima ondata della rivoluzione proletaria e gli insegnamenti della loro esperienz

 

4. La linea di massa

La linea di massa come principale metodo di lavoro e di direzione di ogni partito comunista

 

5. La lotta tra le due linee nel partito

La lotta tra le due linee nel partito come principio per lo sviluppo del partito comunista e la sua difesa dallÂ’influenza della borghesia

 

NOTE ATTIVE selezionando il numero della nota si accede direttamente ad esse

 

 

“Ritengo che per noi tutti, tanto per i compagni russi che per i compagni stranieri, l’essenziale sia questo: dopo cinque anni di rivoluzione russa dobbiamo studiare (...). Ogni momento libero dalla lotta, dalla guerra, dobbiamo utilizzarlo per lo studio e per di più cominciando dal principio”.

(Lenin, al quarto congresso della IC novembre-dicembre 1922)

 

Parafrasando quello che Stalin dice trattando del leninismo,(1) premetto che esporre gli apporti che il maoismo ha dato al pensiero comunista non vuole dire esporre la concezione del mondo di Mao Tse-tung. La concezione del mondo di Mao e il maoismo non sono, per ampiezza, la stessa cosa. Mao Tse-tung è un marxista-leninista e la base della sua concezione del mondo è il marxismo-leninismo. Quindi esporre il maoismo non significa esporre tutta la concezione del mondo di Mao, ma esporre ciò che vi è di particolare e di nuovo nell’opera di Mao, ciò che Mao ha apportato al tesoro comune del marxismo-leninismo e che è legato al suo nome.(2) Questa è una discriminante tra noi e tutti quei “maoisti” che presentano il maoismo come una concezione a sé stante, assolutamente nuova e indipendente dal marxismo-leninismo, come una rottura col vecchio movimento comunista.

In questo articolo mi limiterò ad esporre cinque apporti di Mao al pensiero comunista. Essi illuminano alcuni dei principali problemi politici che tutti i comunisti per forza di cose attualmente devono affrontare, sono indispensabili anche per fare un giusto bilancio del vecchio movimento comunista e della prima ondata della rivoluzione proletaria ed è in forza di essi che i nuovi partiti comunisti devono essere e saranno marxisti-leninisti-maoisti.(3) I lettori che vogliono avere una conoscenza più ampia del maoismo, possono trovare altrove illustrati altri apporti di Mao.(4)

 

1. La guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata

Quale strada dobbiamo seguire noi comunisti dei paesi imperialisti per portare la classe operaia a instaurare la dittatura del proletariato, dare inizio alla fase socialista di trasformazione della societĂ  e contribuire alla seconda ondata della rivoluzione proletaria mondiale?

 

Quando le forze soggettive della rivoluzione socialista vanno oltre un approccio spontaneo alle lotte e superano lo stadio in cui partecipano alle “lotte che ci sono”, fanno “quello che possono”, cercano di dare vigore a ogni lotta che capita e hanno fiducia che di lotta in lotta, se il numero delle lotte aumenta e così pure il numero dei lavoratori che vi partecipano, se le lotte diventano più accanite e decise (diventano più “militanti”), alla fine riusciremo a vincere, allora esse abbandonano il terreno della spontaneità (5) e si pongono il problema della via alla conquista del potere, il problema della strategia da seguire da oggi alla conquista del potere: qual è la “via da battere” per arrivare a instaurare la dittatura del proletariato, qual è l’impianto generale da cui dipende anche la strategia che seguiremo in ognuna delle fasi attraverso cui per forza di cose dovremo passare, l’indirizzo generale in base al quale fare piani a lunga scadenza e progettare le nostre singole operazioni, distinguere le iniziative che ci convengono da quelle che non ci convengono, capire quali sono le classi e le forze politiche e sociali su cui in ogni fase possiamo contare e quanto possiamo contare su ognuna e impiegare nel modo più opportuno le forze organizzate che dirigiamo. Avere una strategia giusta è rispondere in modo giusto alla domanda: quelli che già oggi sono convinti che in definitiva la classe operaia per risolvere i suoi mille problemi deve conquistare il potere e instaurare la dittatura del proletariato, cosa devono fare per avvicinarsi alla vittoria, per condurre di tappa in tappa la classe operaia a creare le condizioni necessarie perché in conclusione nel corso dell’attuale crisi generale del capitalismo instauri il suo potere e inauguri la nuova epoca della trasformazione della società, l’epoca socialista? Ciò è anche dare una risposta, fondata sull’esperienza e la scienza del movimento comunista e non solo spontanea, istintiva o di buon senso, alla “via democratica e parlamentare al socialismo”, alla “via delle riforme di struttura”, alla “evoluzione pacifica verso il socialismo”, alla “convergenza graduale tra i due sistemi” e alle altre “vie” di cui i revisionisti sono stati i paladini nei paesi imperialisti e che hanno mostrato, negli ultimi 15 anni oramai anche nella pratica, il loro carattere utopistico.

A chiunque rifletta sull’argomento, diventa poi chiaro che anche la frequenza e l’intensità delle lotte, la quantità di lavoratori che vi partecipano e l’accanimento con cui vi partecipano e, soprattutto, l’efficacia delle lotte, cioè tutto quello che per lo spontaneista è il dato da cui partire, a parità di altre condizioni in realtà dipende dall’indirizzo che diamo alla nostra attività, dalla via che seguiamo. Più e più volte ogni compagno ha vissuto situazioni in cui molti lavoratori vorrebbero fare, ma non sanno cosa fare o, se anche hanno un’idea di cosa fare, non hanno concretamente i mezzi per farlo perché non se li sono preventivamente procurati e non sono nelle condizioni per farlo perché non le hanno per tempo create. Il livello di mobilitazione delle masse popolari che effettivamente si determina di fronte ad un avvenimento non è il frutto spontaneo né casuale di tante volontà individuali né delle relazioni spontaneamente stabilite tra le masse popolari dal ruolo che esse svolgono nella società borghese. Neanche la coscienza che si ha nelle masse popolari di un avvenimento è il frutto spontaneo o casuale di tante esperienze individuali. Entrambi sono il frutto delle condizioni che la lotta politica e il precedente movimento politico hanno creato. Quante lotte ci sono, quanti lavoratori vi partecipano e con quale determinazione, che caratteristiche hanno queste lotte, sono dati che possiamo modificare con una linea appropriata: se abbiamo creato una rete organizzativa e canali di intesa, se abbiamo per tempo diffuso un orientamento giusto, se abbiamo preparato adeguatamente le lotte, se abbiamo indetto le lotte giuste al momento giusto, se abbiamo conseguito delle vittorie. Per vincere è indispensabile avere e attuare una strategia giusta, cioè conforme alle condizioni concrete in cui lottiamo, alle condizioni da cui partiamo e che non dipendono dalla nostra volontà e dalla nostra intelligenza, che non possiamo cambiare con la nostra attività o che possiamo cambiare solo conducendo per un certo tempo un'attività adeguata.

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